PRATO. <<Se qualcuno ha sbagliato in questa storia, quelli non siamo noi. E ci tuteleremo per difendere la nostra immagine di imprenditori onesti.>>
Questo il senso del messaggio che la famiglia Barontini, dal padre Ivo ai figli Andrea e Davide, ha voluto lanciare ieri dallo studio dell’avvocato Marcello Lastrucci all’indomani della notizia del clamoroso stop decretato dal Ministero dello Sviluppo Economico al progetto della famiglia pratese, insieme ad altri soggetti, di rilevare l’ex stabilimento Miroglio di Ginosa (Taranto). Come si ricorderà, i tecnici del ministro Passera hanno riscontrato «incongruenze» nelle garanzie finanziarie a sostegno del progetto industriale. In altre parole accusano i promotori di aver fatto carte false, e hanno trasmesso gli atti alla Procura. Ma ora la famiglia Barontini si tira fuori da eventuali responsabilità e punta l’indice su un “financial advisor” livornese, Celestino Baldanzi. E’ lui, secondo Andrea Barontini, ad aver presentato le carte “incriminate” all’incontro al Ministero all’inizio del mese. E’ una storia complicata, fatta di 23 milioni di euro in titoli di Stato finlandesi, garantiti da un istituto che si chiama Alliance Venture Capital e che avrebbero dovuto essere depositati nella filiale di Banca Intesa di Livorno. Il Ministero storce il naso, sospetta che i documenti presentati all’incontro nella capitale siano falsi e per il momento tutto è bloccato, anzi i tecnici «ritiengono conclusa ogni discussione» coi promotori del progetto pugliese. Quello che Andrea Barontini, impegnato anche a Grosseto nel rilancio della Mabro, vuole chiarire una volta per tutte è che il soggetto promotore dell’investimento a Ginosa è la Taranto Invest srl, una società di Celestino Baldanzi che avrebbe dovuto trasformarsi in spa con un aumento di capitale di 5 milioni. La Mida Holding della famiglia Barontini avrebbe ottenuto il 20% della futura Spa, senza conferire un soldo, in cambio del know how e dell’organizzazione produttiva e commerciale dello stabilimento di Ginosa, che dava lavoro a 170 dipendenti, ora in cassa integrazione. I Barontini erano pronti a trasferire in Puglia tutti i macchinari che ora hanno nella fabbrica Marcolana in Bulgaria. «Ma la Marcolana (omonima dello stabilimento pratese, ndr) non c’entra nulla in questa storia – ribadisce Barontini – Questo è un investimento della famiglia tramite la Mida, che non ha sottratto risorse alle altre nostre attività (Marcolana Prato si appresta a chiedere il concordato preventivo, ndr)». A presentare Celestino Baldanzi alla famiglia Barontini è stato l’anno scorso un altro “financial advisor”, Giuseppe Scornavacca, che ha i contatti giusti a Taranto. I dirigenti del Gruppo Miroglio avevano già dato il loro via libera. Generosamente aiutati dallo Stato per impiantare lo stabilimento pugliese ora fermo, si erano impegnati a cedere gratuitamente il capannone in cambio della riassunzione dei 170 dipendenti, che avrebbero avuto altri due anni di cassa integrazione garantita. Il naufragio del progetto ha creato un comprensibile sconcerto in provincia di Taranto, mentre dovrebbe essere la Procura di Roma a occuparsi delle presunte irregolarità segnalate dal Ministero.
(Fonte, “Il Tirreno di Prato” articolo di Paolo Nencioni)